La Cassazione fissa i paletti, ma i lavoratori restano i veri penalizzati
La sentenza che scuote il settore della vigilanza privata
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 19467 del 30 gennaio 2025, ha posto un punto fermo in una delle questioni più delicate per il comparto della vigilanza privata e dei servizi fiduciari: il tema della contribuzione previdenziale minima. Da anni, in questo settore caratterizzato da appalti ribassati e forti pressioni competitive, si discute sulla legittimità di riduzioni retributive operate attraverso gli accordi di prossimità, strumenti introdotti dal D.L. 138/2011 per consentire, in particolari situazioni di crisi o riorganizzazione, deroghe anche peggiorative rispetto alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). La Suprema Corte ha ribadito con forza che, pur potendo un contratto di prossimità incidere sui minimi tabellari retributivi, non è mai possibile abbassare la base imponibile su cui calcolare i contributi previdenziali al di sotto del limite minimo fissato dall’INPS o del minimo contrattuale se superiore. Si tratta di un chiarimento importante perché elimina le zone grigie interpretative che spesso hanno generato contenziosi tra imprese e istituti previdenziali. In sostanza, il datore di lavoro può riconoscere un salario più basso in virtù di un accordo sindacale di crisi, ma non può abbassare proporzionalmente i contributi: l’obbligo di finanziare il sistema previdenziale secondo il “minimale di legge” resta intatto. Questa affermazione della Cassazione ha l’effetto di tutelare i lavoratori rispetto al futuro diritto alla pensione, evitando che riduzioni salariali immediate si traducano in vuoti contributivi irreparabili. Tuttavia, allo stesso tempo, fa emergere con forza una contraddizione: il costo contributivo a carico delle imprese resta ancorato a livelli che in alcuni casi superano le retribuzioni effettivamente erogate, mettendo in difficoltà soprattutto le aziende di vigilanza che operano con margini ridotti.
Cosa dice la normativa contributiva per il 2025
Per valutare le conseguenze della decisione della Cassazione è necessario guardare al quadro normativo vigente. L’INPS, con la circolare n. 26 del 29 gennaio 2025, ha aggiornato i limiti di retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali. In particolare, il minimale giornaliero di retribuzione imponibile per il 2025 è stato fissato a € 57,32. Considerando le 26 giornate lavorative convenzionali previste per il calcolo mensile, la soglia minima mensile corrisponde a circa € 1.489/1.490 lordi. Questo dato va tenuto ben presente: la normativa impone che i contributi previdenziali siano versati sull’importo maggiore tra il minimale di legge e la retribuzione effettivamente dovuta dal contratto collettivo. Non è quindi possibile, come alcuni avevano ipotizzato, abbassare i contributi a € 1.308 o ad altre cifre inferiori: se il contratto prevede importi più bassi del minimale legale, l’azienda deve comunque applicare quest’ultimo come base contributiva. È una tutela che nasce per garantire che, in sede pensionistica, il lavoratore non subisca un danno irreversibile. L’ordinanza della Cassazione ha confermato questa interpretazione, fugando ogni dubbio: la libertà contrattuale non può mai tradursi in una diminuzione del livello di copertura previdenziale fissato per legge.
Il CCNL Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari: numeri e criticità
Il CCNL Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari 2023–2025, firmato il 30 maggio 2023, prevede una retribuzione tabellare variabile a seconda dei livelli. Per la vigilanza armata, i valori vanno da circa € 1.218,44 lordi mensili al livello VI fino a circa € 1.388,88 lordi al livello A. Per i servizi fiduciari, i minimi retributivi partono da circa € 1.142,14 al livello E e arrivano a € 1.930,09 al livello A. Il confronto con i dati INPS è immediato: i livelli A, B e C dei servizi fiduciari (con importi compresi tra 1.478 e 1.930 euro) risultano sostanzialmente allineati o superiori al minimale 2025 di 1.490 euro; al contrario, i livelli più bassi sia della vigilanza armata che dei servizi fiduciari (IV–VI e D–E) restano sotto la soglia minima. Qui scatta l’obbligo contributivo integrativo: le imprese devono versare contributi calcolati non sulla retribuzione effettivamente erogata, ma sull’importo del minimale legale. Questo comporta un paradosso evidente: si pagano contributi su una base più alta rispetto al salario corrisposto al dipendente, creando distorsioni nel sistema.
Perché il minimale non può essere “tagliato”
Il chiarimento della Cassazione nasce da un’esigenza di tutela universale. I contributi previdenziali non servono solo al singolo lavoratore, ma alimentano un patrimonio comune di risorse necessario a garantire pensioni e prestazioni assistenziali all’intera collettività. Consentire ad accordi di prossimità o a CCNL sottoscritti da organizzazioni meno rappresentative di abbassare il livello contributivo avrebbe effetti devastanti nel medio-lungo periodo: meno risorse per l’INPS, prestazioni pensionistiche ridotte, diseguaglianze crescenti. Ecco perché la legge fissa un “pavimento” invalicabile. L’imprenditore che pensasse di versare contributi solo sul salario contrattuale più basso rischierebbe accertamenti, recuperi contributivi, sanzioni e, in prospettiva, anche contenziosi giudiziari con l’ente previdenziale. La regola è semplice: il datore può pattuire retribuzioni inferiori al CCNL in caso di crisi (accordi di prossimità), ma non può mai abbassare il livello della contribuzione sotto il minimo legale.
Gli effetti sul reddito e sulle pensioni dei lavoratori
Per chi lavora nella vigilanza privata o nei servizi fiduciari, la questione va ben oltre i numeri. Una retribuzione di 1.142 o 1.308 euro lordi al mese, prevista nei livelli più bassi del CCNL, non raggiunge il minimo contributivo fissato dall’INPS a 1.489 euro mensili. Ciò significa che il lavoratore percepisce in busta paga meno di quanto la legge considera adeguato a fini previdenziali, mentre i contributi sono comunque calcolati su un importo maggiore, che però non si traduce in un aumento effettivo della retribuzione disponibile. Il rischio è che questa discrepanza alimenti un senso di frustrazione, impoverisca le famiglie e, nel lungo periodo, si traduca in pensioni insufficienti a garantire una vita dignitosa. La sentenza della Cassazione rende chiaro che la difesa dei diritti previdenziali non è negoziabile, ma resta aperta la questione del giusto salario.
Le imprese tra costi e sostenibilità
Gli istituti di vigilanza si trovano ora di fronte a un problema pratico: versare contributi su un minimale più alto rispetto al salario erogato significa affrontare costi del lavoro aggiuntivi, senza che i lavoratori ne traggano un beneficio immediato in busta paga. Questo squilibrio rischia di comprimere ulteriormente la competitività di aziende già impegnate in appalti con margini ridotti e condizioni di forte pressione economica. Il tema non è solo tecnico o contabile: riguarda l’equilibrio complessivo del settore e il rapporto tra imprese, lavoratori e istituzioni. Senza un adeguamento delle tabelle retributive del CCNL Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari ai valori del minimale INPS, il rischio è di generare un sistema che grava sulle imprese senza garantire equità salariale ai lavoratori. La giurisprudenza ha fatto chiarezza sul piano contributivo, ma resta un vuoto da colmare sul piano contrattuale, che richiede un confronto responsabile tra tutte le parti sociali.
La voce dei lavoratori e il ruolo delle sigle sindacali
In questo scenario, è evidente che i lavoratori della vigilanza privata e dei servizi fiduciari sono i più penalizzati. Da un lato, percepiscono retribuzioni che spesso non raggiungono nemmeno il livello minimo su cui vengono versati i contributi; dall’altro, rischiano che questa distanza tra paga reale e imponibile previdenziale si traduca in future pensioni non proporzionate al lavoro svolto. È quindi indispensabile che chi vive quotidianamente questa realtà diventi parte attiva del cambiamento. Oggi più che mai è necessario dare forza alle sigle sindacali di categoria, affinché possano sedersi ai tavoli di trattativa con un mandato forte e rappresentativo. Questo significa, concretamente, iscriversi e partecipare, trasformandosi da spettatori passivi a protagonisti del proprio futuro. Solo con una partecipazione diffusa e consapevole sarà possibile chiedere e ottenere l’adeguamento dei minimi contrattuali al nuovo minimale INPS 2025 di € 57,32 al giorno (≈ € 1.490/mese). Il tempo delle attese è terminato: è giunto il momento dell’azione, perché la dignità del lavoro e la sicurezza sociale non possono più essere sacrificate.